Il mondo altrove: una storia notturna è una creazione coreografica in forma di rituale danzato, che celebra secondo una logica scenica
il moto di un mondo inesplorato.
Nel tracciare un percorso ideale tra Occidente e Oriente, la creazione è liberamente ispirata ai rituali indigeni dell'America del Sud, ai simboli e
alle tradizioni del teatro Nō giapponese, e all'ossessiva, per certi versi mistica ed eccentrica ricerca musicale del compositore Giacinto Scelsi
intorno all'idea sferica del suono.
La creazione presenta una figura sciamanica finemente adornata per condurre una cerimonia magica e senza tempo. Il suo movimento e
i lineamenti del suo volto - velato e riconfigurato secondo canoni estranei alla cultura occidentale - custodiscono e offrono al nostro sguardo
il rituale di una possibile tradizione altra, agito all'interno di un confine circolare che delimita uno spazio ancora attribuibile al sacro e che
raccoglie l'esito di una convivenza armonica tra habitat naturale e azione umana.
L'azione è pensata al crepuscolo, abbracciata dalle cromie lucenti dell'oro, del ciano e del porpora, per sciogliersi in un dialogo gestuale notturno,
espressione di sostegno vicendevole, dono perpetuo, comunione universale e celeste.
Di fronte a questo linguaggio fisico siamo invitati a decifrare i “geroglifici” di questa figura ignota, selvatica e capovolta; siamo ospiti chiamati
a un esercizio di superamento del confine di ciò che conosciamo, scoprendoci stranieri tra gli stranieri. Accogliere un mondo nuovo e aprirci
a un sistema ignoto significa entrare in contatto, senza gerarchie precostituite, con la poesia di segni muti e opachi, sia che appartengano al
mondo animale, al mondo vegetale o a una qualsiasi cultura alternativa. Accettando la messa in discussione di qualcosa di sé e ritrovando
la propria umanità nel riflesso dell'incontro.


"[...] Ciò che va in scena è una sorta di rito primitivo, è una danza che guarda agli archetipi della ritualità magica
in cui spazio e oggetti diventano scenari affacciati sull’indicibile, sull’eterno, sul mistero della vita e del creato.
Questo senso liminale – per dirla con Victor Turner – attraversa la performance di Nicola Galli che traduce
il suo stile contemporaneo in una sorta di partitura mimica che vive di suggestioni etnologiche e iconografiche
di un’arte primitiva e rupestre che emerge dalla postura del corpo."
Nicola Arrigoni [ SIPARIO.it - 27/11/2020 ]
"In una bellissima azione urbana dal titolo "Il mondo altrove: un dialogo gestuale", Nicola Galli ha condotto
gli astanti per le vie del centro di Sansepolcro fino ai giardini intestati a Piero della Francesca.
L’azione dinoccolata e poliritmica con tanto di maschera scenica è stata immediata,
conturbante, in una prossimità di spettatore e natura che non ammetteva mediazioni,
di grande forza performativa perché capace di prendersi tutti i rischi di una mobile e promiscua contiguità."
Stefano Tomassini [ Artribune - 08/08/2021 ]
“Al Parco di Tor Fiscale, di fronte all’acquedotto, un piccolo mistero performativo si avvicina al pubblico.
Questo danzatore proveniente da un mondo altro, ma non rimarrà al centro, cercherà una mobilità completa sfidando
orizzontalità e profondità.
Prima, mentre il crepuscolo si affretta a imbrunire la vista, la maschera senza parole raccoglie piccoli oggetti, sembrano pietre,
in realtà sono di legno, poligoni che, una volta sistemati uno sull’altro, si ergono in un piccolo totem. […] E’ questa la sensazione
di spaesamento che si ha di fronte a una perfomance che potremmo ricondurre alla danza solo per la presenza della musica
(evocativa prima ma con un senso di pericolo ed enfasi poi) e l’assenza delle parole; ma, come la maschera e il costume, l’ascendenza
dei gesti va ricercata nelle pratiche dell’estremo oriente, nei ricordi di stampo balinesi, con l’obiettivo però di riposizionare i
segni di quelle culture e dei loro immaginari in altri luoghi per creare, appunto, nuovi orizzonti e non una mera imitazione."
Andrea Pocosgnich [ Teatro e Critica - 16/06/2022 ]
"Il lavoro di Nicola Galli 'Il mondo altrove: una storia notturna' è incuneato in una ricerca che non
si nutre di vocabolari né di fraseggi di questa con-temporaneità, non glissa il presente certo,
ma si inabissa in un archivio di immaginari e riferimenti antropologicamente potenti e conturbanti
da regalare al nostro presente nuove domande e affezioni misteriche liminali al rito, alla
con-partecipazione tra gesto e sguardo.
[...] Per certo troviamo una infinità di ganci e rimandi
dal libro 'Storia notturna" di Carlo Ginzburg, in scena resi con pregevole destrezza coreografica
e una grande capacità di spostare continuamente il senso di ciò che si sta vedendo, per cui lo spettatore è
chiamato a ricalibrare costantemente il proprio posizionamento, il proprio punto di vista.
[...] Con una maschera a suo modo prodroma della Commedia dell’Arte, si aggancia ai riti campestri o ai pleniluni
arcaici proiettando quel corpo fuori da sé oltre sé, rimuovendo le “incrostazioni” dell’adesso mostrando infine un racconto immemore.
Sposta pietre, cadenza quasi levigando l’aria con una gestualità perplessa, orchestra lo spazio di una celebrazione antica
in quell’assoluto della presenza e della natura con un discorso danzato bellissimo."
Paolo Ruffini [ liminateatri.it - 26/06/2022 ]
"Nicola Galli sta in scena a torso nudo, accucciato come un dio in attesa, con una maschera sul volto.
Un dio piccolo, dalla maschera incaica, è dunque al primo sguardo Galli, a onta del fisico poderoso di ex ginnasta
che continuamente riconfigura in equilibri diversi, in un percorso coreografico pieno non nell’elevazione e nel
balzo ma nella sequenza interrogativa dei rapporti tra arti, busto, capo, di un suo virtuosismo, di un linguaggio
personale ma carico di memorie.
[...] Galli opera con sicurezza sia drammaturgica che coreografica, tanto che, con naturalezza – e con una certa dose
di quell’erotismo libresco che avvicina le sue scelte a quelle dei padri, quasi conterranei, della cesenate Socìetas –
non adotta un generico sottofondo musicale etnico, fumoso, né si arrende al puro silenzio, ma adotta le complesse,
ansimanti sonorità del Giacinto Scelsi orchestrale, con il loro andamento immobile di ricerca insistita sopra un punto,
verticale come una goccia che debba farsi strada.
[...] Galli riesce con onestà, senza ruffianate né smargiassate, a operare un affondo sul limite dell’uomo e della natura
grazie al gancio di una scelta musicale colta, traduzione di un gesto culturale proteso a tutti gli “altrove” possibili,
esente da superficiali mascheramenti, da rimasticamenti e automatismi."
Carlo Lei [ Krapp's Last post - 09/07/2022 ]
"Si è annullata la percezione del tempo,
a volte dilatato a volte compresso, tra i gesti insistentemente ripetuti, lavorati in armonia concettuale con le idee di Giacinto Scelsi:
come l’artista del suono ripeteva infinite volte una nota, fino a perdercisi, fino a carpire l’essenza mistica di ogni minuscola
variazione della stessa frequenza, tecnicamente impercettibile, il rituale del mondo altrove
è costruito sulla ripetizione di
gesti che ci ricordano a volte gli sciamani africani, altre le danze indiane, i balzi delle tribù latinoamericane, la gestualità
del teatro giapponese, a qualcuno gli affreschi del palazzo di Cnosso a Creta, o delle tombe etrusche nel Lazio. Come
in ogni viaggio mistico, si alternano momenti di ipnosi, di concitazione, di perdizione nell’invisibile, anche di stanchezza
dell’essere in viaggio che però, una volta superata, ci rende coscienti della forza che abbiamo di superare gli ostacoli e
continuare ad andare avanti.
Nella performance di Nicola Galli c’è tutta la sacralità dell’azione scenica, del teatro, della danza, della musica ridotte alle
radici, ai minimi termini di azione, gesto, suono che ripetuti, curati, vissuti in ogni attimo come fossero eterni,
ritrovano tutto il potenziale mistico dei propri albori per lasciarci traghettare verso il prossimo altrove."
Elena Zeta Grimaldi [ Paneacquaculture - 05/08/2022 ]
"[...] Lo sciamano lentamente avanza con sguardo fisso e bisognoso, interrogatorio: ci sta chiedendo qualcosa senza pronunciare
nemmeno una parola, si annulla la distanza e ci sentiamo interpellati intimamente su ciò a cui abbiamo appena assistito. Restiamo
ammutoliti poi anche innanzi alla sua retrocessione, in cui il danzatore raggruppa con cura i sassi di legno e li utilizza come orme
su cui poter procedere a ritroso. Egli si ritira discreto, esce dal nido di fogliame e timidamente costruisce con quegli stessi elementi
di cammino un totem che ci lascia in eredità, forse il simbolo di un’avvenuta metamorfosi. Con questo atto Nicola Galli si dona definitivamente
al pubblico come strumento di sublimazione tra uomo e natura, in cui si trasforma senza sosta attraverso la dimensione sacra del rito,
volto alla germinazione di nuove possibili combinazioni di coesistenza, alla ricerca di mondi alternativi possibili."
Margherita Alpini [ 21/07/2023 - blog del festival FU ME - lab. di giornalismo culturale di Altre Velocità ]
"Una performance che sembra letteralmente aprire sul palco un portale verso l’altra dimensione richiamata nel titolo.
Come se la forza della natura e di un’energia primordiale diventassero improvvisamente raggiungibili grazie alle danze che vediamo in scena,
eseguite da Galli a torso nudo e con il volto coperto da una maschera, a richiamare un po’ il mondo animale, un po’ una distorsione
metallica e inquietante del volto umano. [...] Inquietante, ma allo stesso tempo liberatoria, è la coreografia che, senza apparire mai troppo artificiosa e conservando
anzi un’impressione di libertà e spontaneità, è millimetricamente pensata e perfettamente eseguita per rendere uno schema
drammaturgico che pare partire dall’evocazione di un rito, di cui inizialmente l’officiante è in controllo, ma da cui poi in parte
viene travolto e ferito, ma forse infine anche liberato."
Valentina Balestrazzi, Giulia D'Amico [ 06/2023 - Krapp's last post ]
"Esitanti, un po’ in soggezione, siamo entrati nella Basilica. L’ambiente è smisurato, immenso, palladiano. Il silenzio ci inquieta per qualche minuto, quando le luci si abbassano. Sotto le alte volte, dorato e silenzioso, il leone di san Marco ci scruta.
Lo sguardo punta in basso. Chissà che animale sarà – sembra dire – quello là che si muove al suolo. Sono gesti rallentati e felini,
quelli: forse un ghepardo, un puma. A tratti però la bestia esibisce movenze scimmiesche: sì, è un animale umano.
La maschera, dorata anch’essa, gli nasconde il volto. E luccicano come pietre preziose, nel mezzo, i due occhi. Sono proprio pietre preziose,
anzi. Brillano nella penombra. Dall’America azteca o inca evocata da quella maschera, ai gesti che sposano le favole della narrazione danzata indiana,
il bharatanatyam, per dirne una. E il puzzle dei piccoli pezzi di legno, sopra i quali il performer si muoverà, ritualmente, come un felino,
hanno il colore delle essenze africane. Il loro odore forse. E poi c’è Bali, c’è il Giappone. C’è, a riconoscerla, perfino qualche eco etrusca.
A supportare la vista, esplode a un certo punto la potenza orchestrale di uno dei 'Pezzi su una nota sola' di Giacinto Sclesi (1905-1988).
Compositore ombreggiato dallo svilupparsi del secolo, musicista di nicchia, ma possente, spirituale, cosmopolita. E vibrano mossi dalla quella autorità
rimbrica i mattoni rustici e rossi che Palladio imbozzolò nel rigore architettonico di un Rinascimento tutto bianco.
La Basilica risuona come un corpo unico, mentre la bestia, danzatore oramai sciamano, geroglifico, indigeno santo, si aggira alla ricerca, forse,
della via di fuga. Dalla mediocrità del presente."
Roberto Canziani [ 10/2024 - Quantescene! ]


